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Un calcio al pallone

Inizia, dopo la sosta natalizia, la seconda parte della stagione calcistica ed, ovviamente, come ogni anno, le polemiche sono sempre le medesime. 
Il goal in fuorigioco non fischiato dall’arbitro; il rigore non dato ovvero l’ammonizione di troppo verso questo o quel calciatore. 
Il calcio, in Italia, è anche – se non soprattutto – questo: un grandissimo fenomeno mediatico, che si costruisce in virtù dell’indotto, che creano le polemiche fra addetti ai lavori. 
Giornali, telegiornali, trasmissioni specialistiche non parleranno se non degli eventuali errori arbitrali, almeno, fino al prossimo turno di campionato o eventuale partita ufficiale di altro torneo, che si giochi nel corso della settimana. 
Altrove, come in Spagna o in Inghilterra, invece il fenomeno calcistico viene vissuto diversamente: certo, sulla stampa grandissimo spazio ha la vita privata dei giocatori e, quindi, il gossip conseguente, ma mai gli errori arbitrali diventano i protagonisti di giornate intere di discussioni o dibattiti. 
È, anche, vero che, in Italia, ai tempi di Calciopoli le polemiche non furono solo tali, ma ebbero una scia penale e disciplinare a carico di importanti sodalizi, finanche, della serie A, ma ora forse si sta, per davvero, esagerando. 
Immaginare che dietro agli errori arbitrali ci possa, sempre, essere una volontà fraudolenta, tesa a favorire una squadra piuttosto che un’altra, sembra l’effetto di una coazione a ripetere, piuttosto che la visione lucida di chi, serenamente, si limita dall’esterno ad osservare il fenomeno calcistico nella sua complessità. 
Piuttosto, sono altri i fattori, che devono - effettivamente - preoccupare: la fuga dagli stadi degli spettatori, che preferiscono rimanere a casa ad assistere alla partita, togliendo ad essa un fattore di fascino indiscusso; la difficoltà, da parte di moltissimi sodalizi, a costruire nuovi impianti sportivi di loro proprietà, che potrebbero invero portare nuova linfa vitale in un sistema calcistico, altrimenti, asfittico e privo di risorse economiche, che non siano quelle delle pay-tv. 
Inoltre, anche il merchandising non riesce a decollare nel nostro Paese, visto che, al Nord come al Sud, il falso prevale sul mercato dei gadget autentici, per cui molte risorse vengono sprecate in canali non ufficiali, se non prossimi alla malavita, che – per altro verso – non può non allungare i suoi interessi criminali sulle scommesse inerenti, per lo più, ad eventi minori, così come dimostrato da diversi filoni di indagini giudiziarie in corso o già concluse con sentenze di condanna. 
È ovvio, dunque, che per tutti questi motivi il calcio rischia di divenire sempre meno attraente, visto che si è persa l’autenticità del fatto sportivo in sé, che veniva resa così bene, un tempo, dalle radiocronache e dalle telecronache dei grandi giornalisti della Rai. 
Quello era un calcio diverso, molto meno ricco, ma invero molto più romantico, così come piace a noi che, per quanto tifosi di una squadra piuttosto che di altre, sappiamo apprezzare la bellezza di un gesto tecnico perfetto e, soprattutto, sappiamo ancora provare meraviglia quando un Messi o un Ronaldo sono in grado di incantare platee di migliaia e migliaia di spettatori. 




Rosario Pesce

 

 

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