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Se i Comunisti salvano Berlusconi…

L’acquisto da parte dello Stato cinese del Milan rappresenta una notizia molto importante, non solo per i risvolti, meramente, sportivi che potranno esserci per la squadra più titolata d’Italia. 
Infatti, fa notizia il fatto che, innanzitutto, non sia un privato di quel Paese, ma il Governo di Pechino ad essere intervenuto direttamente nella compravendita della società del Biscione, peraltro acquistando il club di Berlusconi ad un prezzo, molto probabilmente, fuori mercato. 
La valutazione di settecentocinquanta milioni di euro (comprensiva di un terzo, circa, di debiti) è, evidentemente, un valore assoluto molto alto; infatti, si può fare la comparazione con l’acquisto recente dell’Inter (pagato trecento milioni di euro) - società il cui standard economico non è molto dissimile da quello milanista - per capire facilmente che Berlusconi ha incassato una cifra, invero, molto molto generosa. 
Ancora, non si può non evidenziare quanto lunga ed estenuante sia stata la trattativa con i Cinesi, che è durata quasi due anni ed è passata attraverso fasi complesse, visto che gli investitori iniziali sono del tutto scomparsi dalla vicenda negoziale e sono stati sostituiti, in corso d’opera, da soggetti economici molto più forti, a partire dai Ministeri del Governo cinese, che sono parte essenziale del Fondo, che ha prelevato la proprietà milanista. 
Ma, qual è l’interesse che porta la Cina a comprare sodalizi sportivi, prossimi al fallimento, in mezza Europa? 
Non si può non rimarcare come, nel giro di pochi mesi, le due società milanesi siano state rilevate per un prezzo complessivo superiore al miliardo di euro, che costituisce un valore finanziario straordinariamente alto, se si considera che il calcio italiano vive un momento di crisi, per cui diviene molto difficile ipotizzare che - a breve - gli investitori cinesi, privati e pubblici, possano rientrare del notevole esborso fatto per acquisire Milan ed Inter. 
È ovvio che un Paese, di più di un miliardo di cittadini, sia un mercato potenziale unico per il calcio europeo, visto che, fra diritti televisivi e merchandising, la fetta di profitti, che si può immaginare possa generarsi nei prossimi decenni, sarà relativamente molto alta. 
Ma, è altrettanto pleonastico sottolineare che saranno necessari molti anni perché si costruisca, in un territorio vasto come quello cinese, una rete di distribuzione del prodotto calcio, che dovrà raggiungere non solo i grandi agglomerati urbani, ma anche le campagne che si trovano nei territori più periferici e limitrofi dell’ex-Impero comunista di Mao. 
Certo è che suona come una beffa (o come un paradosso) il fatto che gli eredi di Mao abbiano salvato Berlusconi da una condizione di grave disagio del suo gruppo: infatti, non sfugge a nessuno che i duecento milioni di euro di debito del Milan sarebbero ricaduti, per intero, sulla Fininvest se non fossero venuti i Cinesi a ripianare una voragine così ampia, che - da almeno cinque anni - rappresentava una zavorra per la crescita del sodalizio milanese, costretto - di anno in anno - a fare i conti con una situazione insostenibile, alla stessa stregua di un club di provincia. 
Peraltro, tutti sanno bene come le difficoltà di Berlusconi non terminano con la cessione del Milan, dal momento che l’altra sua azienda, che pure si interessa di calcio e di sport, Premium, ha una voragine nei conti non dissimile da quella della squadra rossonera, a dimostrazione del fatto che un business, come il calcio, si è trasformato per l’ex-Presidente del Consiglio in un motivo di grave difficoltà sul piano finanziario. 
Se un tempo, quindi, si diceva che i Comunisti mangiavano i bambini, ora si può dire che essi fagocitano i debiti del capitalismo italiano ed europeo, nell’auspicio che possano trasformare in oro ciò che, oggi, è solo una voce, terribilmente, negativa di bilanci aziendali consolidati, ormai, da alcuni anni. 
Certo è che non si può non fare un plauso a Berlusconi, che lascia in eredità ai suoi figli un Impero risanato dai debiti con i soldi dei Cinesi, nella speranza che i suoi eredi abbiano analoga vision imprenditoriale e la stessa fortuna, su cui ha contato il capostipite. 



Rosario Pesce

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