Le orme intangibili dei Poeti.
La notte è trascorsa nelle vampe dei fuochi d’artificio, nell’urlo impaziente della folla che deride l’anno vecchio e invoca l’anno nuovo. Una corsa sfrenata verso il futuro occidentale, nella fretta di dimenticare gli orrori irrefrenabili degli spari, la mutilazione orientale delle teste, il dolore indescrivibile dei superstiti.
Le foto dei giovani e meno giovani messi in fila sbiadiscono. I fiori posti sui marciapiedi appassiscono. Le parole televisive e radiofoniche svaniscono nell’aria. Il lamento del cane senza padrone si perde nel silenzio. Restano le orme intangibili delle vite vissute, dei naufraghi dispersi, delle esistenze divelte dal deserto dei deserti dei silenzi. Chi le insegue ? Le inseguono i Poeti.
Oggi che il lavoro è divenuto il favore concesso dai potenti, l’uomo è morto come il suo Dio su una croce dura di rabbia. Il ricorso del ruolo sociale dal padre al figlio è il veleno immorale per le menti libere. Il lavoro è libertà in una terra avara che appartiene alla sua gente. Quando il lavoro ritornerà anche il potere del popolo avrà la sua Democrazia.
I Poeti raccontano il loro tempo, le molte vite degli umani e delle cose, le ansie nel petto di coloro che camminano nella memoria e nel presente. La Civiltà contadina sta riprendendo il suo posto. L’artigiano sta riprendendo gli attrezzi tra mille difficoltà: è il Nuovo Anno, questo 2016.
L’esistenza di queste fiammelle, nella luce dell’Eterno, sono brevi spazi di tempo, mortali come tutti gli uomini essi ascoltano nel silenzio l’Infinito tra i vivi:
“ Sei come me mortale / quel confine, metterci sopra un segno? / Ribollono i pensieri che ci chiedono / se la coscienza ha un poi da coltivare… / ( la pianta è qui per crescere) / un mistero la provoca e la scuote / un compito che sente di adempiere / una rotta da scoprire con il cuore / un Satana che in ombra la percuote./ ” Sono i versi del poeta Alessandro Ramberti.
La Poesia è la Madre di questi uomini così semplici e così difficili al tempo stesso. Come ogni madre li alimenta di un nettare che rende amara anche l’acqua della Speranza guardando nel fondo del pozzo dell’esistenza:
“ Cigola la carrucola del pozzo, / l’acqua sale alla luce e vi si fonde. / Trema un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio un’immagine ride. / Accosto il volto a evanescenti labbri: / si deforma il passato, si fa vecchio, / appartiene ad un altro… / Ah che già stride / la ruota, ti ridona all’altro fondo, / visione una distanza ci divide. / ” Sono i versi del Nobel della Poesia Eugenio Montale.
Il pozzo delle anime, l’acqua amniotica e quella lustrale, la sorgente della vita e quella del dopo esistenza, l’immagine ricorrente in noi dell’infanzia sublime e della vecchiaia che vorremmo priva di sofferenze. La ruota del tempo, la ruota delle Parche, la ruota della fatica di vivere, l’immancabile stridio dei malesseri corporei e sociali.
La Poesia è la portatrice delle immagini, il gesto epifanico dell’Eterno, il logo multirazziale delle esistenze sparse sull’azzurro pianeta Terra. Le sue orme sono intangibili a quanti non sanno scoprire negli altri il germe del se stesso. Di coloro che assisi sulle estremità delle novelle Torri di Babele, i grattacieli, sfidano il Cielo consumando le risorse esauribili della Madre Terra.
Chi segue le orme dei Poeti ?
Coloro che sanno rinunciare a gran parte del proprio egoismo, sanno piegarsi per lunghe notti sulle culle degli ospedali dove bambini e vecchi, ognuno per il suo fine, accendono l’aria riscaldata dai termosifoni delle loro voci. Eppure ad ascoltare quelle voci è come seguire le orme di un cammino senza fine:
“ Uno che inciampa nei suoi piedi equini / spande il veleno delle sue parole / da capannello a capannello. E’ il tempo / che ai rassegnati a questa vita / s’appicca un fuoco di rivolta. Il vecchio / con il senno di molti poi tentenna / il capo, dice: “ così è ”, scompare / dietro una tenda di cannucce. Corre / gente, rintrona qualche sparo, qualche / urlo. La piazza torna come sempre. / E’ un giorno, un giorno d’ira in un paese / di questa terra arida, graffiata / da un aratro ch’è poco più di un chiodo. / Noi, due, tre testimoni qui per caso. / Quel po’ di mondo che appare / da questa feritoia dei sensi, / da questo spiraglio della mente, / affila il coltello del giudizio, / ne fa crudele la fermezza. / Che fai? Osi brandirlo a mano alzata? / Agito pensieri miei fedeli / e pensieri covati in nido d’altri / come i piccini della verla, lotto / pur di non giudicare a cuore duro, / pur di non fare a pezzi quel che è unito. / ”
Sono i versi del poeta Mario Luzi .
Il coltello della realtà uccide gran parte delle giovani speranze a causa della corruzione dilagante, fondata sul giudizio dei troppi freneticamente attaccati al Potere del mondo.
Le orme intangibili dei Poeti guidano in altra direzione che non è scevra dai difetti umani ma è voce, voce che risale tra le rosee nebbie, dal fondo delle nostre campagne.
Montoro, 1° gennaio 2016 Vincenzo e Raffaela D’Alessio