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Forza Italia!

La notizia della nomina di Conte per il delicato ruolo di ct della Nazionale di calcio ha suscitato qualche polemica, ampiamente prevedibile, viste le cifre del contratto, che legherà, per un biennio, l’ex-allenatore della Juve alla Federazione Italiana. 
Infatti, non solo Conte avrà emolumenti, che nessun commissario tecnico di Nazionali di calcio prende né in Europa, né in Sud-America – ad eccezione di un altro italiano, Fabio Capello, alle dipendenze della Russia – ma, cosa più importante, per la prima volta in Italia gran parte dello stipendio del nuovo ct sarà a carico di un’azienda privata, la Puma, che produce abbigliamento sportivo ed è lo sponsor tecnico di tutte le Nazionali della nostra Federazione, dalle giovanili fino a quella maggiore. 
L’azienda tedesca darà a Conte circa i 2/3 del suo salario totale, mentre il rimanente 1/3 sarà a carico della F.I.G.C. 
Si crea, così, un precedente molto importante nel nostro Paese ed assai pericoloso in termini di conflitto di interessi: ci si domanda come Conte potrà tenere fuori dalla rosa i calciatori, che hanno contratti d’immagine e sponsorizzazione con la stessa Puma. 
L’allenatore leccese è ben noto, oltreché per i suoi indubbi meriti sportivi, anche per il carattere, che ha dimostrato di possedere nei tre anni nei quali ha gestito lo spogliatoio della società più titolata d’Italia, la Juve, palesando ottime capacità di leadership su campioni strapagati e viziati, spesso riottosi nel seguire le indicazioni dei precedenti mister. 
Pertanto, la spiccata personalità del ct dovrebbe essere un elemento di garanzia, onde evitare che gli interessi commerciali di un’azienda, peraltro neanche italiana, possano prendere il sopravvento su ragioni di natura, meramente, sportiva: d’altronde, come si dice, il Diavolo ha messo, in questa vicenda, il suo zampino, visto che il giocatore più discusso, ma tecnicamente più valido, Balotelli, appartiene anche lui alla scuderia della Puma, per cui il comportamento che Conte potrà tenere nei suoi riguardi rappresenterà la cartina di tornasole attraverso cui capire il livello di autonomia del neo-mister dall’azienda che, finora, si è dimostrata così generosa nei suoi confronti. 
Non a caso, le due gestioni tecniche precedenti, quella di Lippi e l’altra di Prandelli, hanno miseramente fallito i propri obiettivi, perché entrambe – sia pure per motivazioni diverse – hanno dimostrato scarsa attitudine nella gestione dei calciatori a propria disposizione. 
Nel 2010, furono fatti giocare atleti a fine carriera, solo perché, essendo campioni del mondo uscenti, bisognava pagare un debito di gratitudine nei loro confronti per la vittoria del 2006, mentre nel 2014 è apparso evidente a molti che il ct della Nazionale non abbia avuto le necessarie spalle larghe per evitare che le decisioni tecniche più importanti fossero condizionate dagli interessi economici dei grandissimi club italiani, tesi naturalmente a valorizzare i loro talenti, finanche quando questi erano in rottura con i componenti - da lungo tempo - del Club Italia, per cui la spedizione in Brasile, nascendo in un clima di mancata armonia interna, non poteva non produrre i miseri risultati dello scorso giugno, che purtroppo ricordiamo. 
Certamente, Conte non ripeterà i medesimi errori degli ultimi suoi due predecessori, ma dovrà essere aiutato pure dalla Fortuna, perché il calcio italiano, come molte altre aziende nostrane, si trova nel momento di maggiore crisi e, difficilmente, può risalire la china da un giorno all’altro, visto che la cultura dell’Unto dal Signore, che - da solo - è in grado di risolvere tutte le problematiche, si è dimostrata fallimentare in politica: pertanto, non si vede motivo per cui essa non dovrebbe essere destinata al fallimento, anche, quando la si applica al calcio professionistico, nella sua più alta espressione tecnico-organizzativa ed agonistica. 
Conte, comunque, dovrà dimostrarsi all’altezza del compito assegnatogli; altrimenti, ci si continuerà a chiedere, per molto tempo, dell’opportunità di uno stipendio così alto (ben superiore a quello di un dirigente di primissimo livello della Pubblica Amministrazione o di un manager di azienda, pubblica o privata), tanto più in un frangente storico nel quale molti Italiani non sono occupati oppure, se lavorano, percepiscono salari da fame: sappiamo bene, però, che le ragioni morali, che noi condividiamo a pieno, molto spesso non vanno d’accordo con quelle del mercato e, non di rado, le seconde sono quelle che prevalgono. 
Noi, dal canto nostro, non potremo che tifare per i colori azzurri e gridare un sommesso “Forza Italia!”, consci e speranzosi che le ragioni dello sport devono rimanere distanti da quelle della politica. 


Rosario Pesce

 

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