O tempora o mores!
È estate ed è tempo, quindi, di calciomercato: le società calcistiche della massima serie, come quelle delle categorie inferiori, sono impegnate nell’opera di rafforzamento delle proprie rose. I giornali sportivi e quelli a carattere generale sono pieni di notizie riguardanti l’acquisto – reale o possibile o, semplicemente, ipotizzato – di questo o quel calciatore, a cifre più o meno impossibili per noi miseri umani.
Naturalmente, un siffatto mercato si presta ad opinioni ed atteggiamenti molto contrastanti da parte del lettore: c’è il tifoso accanito, che legge ogni sistematica notizia, circa la propria squadra o quelle avversarie, così come esiste lo sportivo che, pur ascoltando siffatti rumours, dedica loro l’attenzione, che essi meritano.
Frattanto, nel nostro Paese si è, però, consumato un fatto sociologicamente anomalo, meritevole di una riflessione: la crisi economica ha eroso il potere d’acquisto delle società calcistiche, anche di quelle più importanti e prestigiose, per cui, contrariamente a qualche anno fa, in Italia non arrivano più i campioni, che erano, dapprima, protagonisti della serie A.
Nonostante, però, ci sia molto meno danaro in giro, l’attenzione dei media verso un simile mercato è, complessivamente, andata aumentando, per cui non c’è giornale, trasmissione televisiva o radiofonica che non parli della trattativa per l’acquisto della punta sudamericana o del mediano africano, anche indipendentemente dal grado di realizzabilità che quella trattativa può avere.
È, quasi, una narcosi generale: ciascuno si diverte ad immaginare una formazione – quella relativa alla squadra per cui si tifa – che, molto probabilmente, agli inizi del campionato non esisterà mai, ma si è felici per il fatto stesso che la società, cui si è legati da una fede sportiva incrollabile, stia trattando il campione di turno.
Così facendo, si è alimentato un mercato parallelo a quello effettivo del calciomercato: ha preso, pertanto, il sopravvento il mercato della stampa, delle notizie vere, verosimili o di quelle che sono, platealmente, infondate e che, comunque, rendono non meno felici i destinatari delle stesse, cioè i tifosi-clienti, che hanno bisogno di saziare la loro sete di informazione continua, dodici mesi all’anno e ventiquattro ore al giorno.
Sono nati, addirittura, canali satellitari ad hoc e trasmissioni tematiche, che ripetono, nell’arco della giornata, i medesimi lanci di agenzia, come se il tifoso-spettatore potesse mai dimenticare la notizia del giorno.
È tutto molto paradossale, a mio giudizio: in un momento, come quello che stiamo vivendo, in cui il danaro manca per poter compiere operazioni vitali, si può essere felici perché questa o quella trattativa sta per andare in porto o si è appena conclusa positivamente o potrebbe modificare, qualora si concludesse, le gerarchie tecniche fra le squadre, quando avrà inizio la competizione vera e propria.
Qualcuno, qualche secolo fa, definì la religione “l’oppio dei popoli”; pare che, a distanza di un po’ di tempo, il calcio – quello chiacchierato e non quello autentico, pur bello, che esprime valori morali, agonistici, tecnici e tattici – abbia preso il posto del trascendente, si sia sostituito agli dei dell’Olimpo o alla divinità delle religioni monoteiste, così attente alla storia dell’uomo ed al progresso della società; anche questo, certo, è un segno dei tempi, forse indice - in modo preoccupante - dell’imbarbarimento del nostro secolo, visto che una notiziola – solo possibile o, peggio ancora, creata ad arte per vendere qualche copia di giornale – può bastare per regalare un sorriso a chi, altrimenti, non avrebbe molte motivazioni per essere felice.
"O tempora, o mores!"
Rosario Pesce