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Due mondi a confronto

Si avvia a conclusione il Campionato Mondiale di calcio, con una finalissima non inedita, che vede contrapposte due nazionali, già vincitrici di titoli negli anni precedenti: Germania ed Argentina. 
Il caso ha voluto che, dunque, ad essere protagoniste dell’atto finale di una manifestazione calcistica così importante fossero squadre in rappresentanza di continenti molto dissimili fra loro: l’Europa ed il Sud-America. 
Molti, infatti, sono gli elementi che distinguono due nazioni, che hanno un passato nobile da un punto di vista calcistico: i giornali, in sede di commento, in vista della partita di domenica sera, hanno fatto riferimento – in modo, talora, accentuatamente ironico – al fatto che i due Papi attuali siano l’uno tedesco, l’altro argentino, come se una volontà trascendente avesse voluto fare di una gara di calcio un derby tutto interno al Vaticano. 
Presa per buona l’ironia sottesa, è evidente che, nella misura in cui il calcio veicola valori ed interessi, che vanno ben oltre il mero atto sportivo, una partita di tale importanza fra due nazioni, così diverse e distanti, ci consente di sottolineare elementi di storia, costume, cultura, che inevitabilmente fanno simpatizzare per l’una o per l’altra, in base alla sensibilità di ciascuno di noi. 
Partiamo dalla disamina delle due squadre, visto che i valori tecnici di un team sono, a volte, simbolici ed acquisiscono una significazione, che trascende il fatto agonistico: l’una, la Germania, fa del collettivo e dell’organizzazione il suo vero punto di forza, visto che, in quell’undici titolare, non figurano grandissimi campioni, paragonabili alle stelle del XX secolo: può apparire ovvio e scontato dire che la società tedesca è costruita in modo non dissimile, cosicché l’organizzazione e l’armonia fra le diverse soggettività, che la compongono, rappresentano l’elemento trainante di un’economia e di un consesso sociale, ben noti per la loro efficienza. 
Ben diversa, invece, è la squadra argentina, al cui interno la forza del singolo calciatore – alcuni dei quali sono, davvero, campioni di primissimo livello – prevale sul collettivo, un po’ come accade nelle società tipiche del Mezzogiorno del mondo, dove, in assenza di un ordine e di un’organizzazione perfettamente funzionanti, si privilegiano le capacità ed i talenti individuali, come se questi, di per sé, fossero sufficienti a ripianare i vuoti lasciati da limiti e problematiche ancestrali. 
Germania ed Argentina, inoltre, sono i due Stati che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno segnato la vicenda finanziaria mondiale: la prima fa del rigore finanziario e della disciplina di bilancio la regola fondamentale, sia a livello nazionale, che comunitario, visto il peso politico straordinario, che essa vanta all’interno dell’Unione Europea; la seconda, invece, dopo il fallimento del 2002, rischia oggi di incorrere, a distanza di dieci anni circa, in un secondo default, che ne minerebbe le possibilità di sviluppo economico e metterebbe in grave pericolo la concordia fra i ceti sociali. 
Pertanto, in caso di vittoria della squadra sud-americana, la vicenda sportiva avrebbe un valore simbolico fortissimo, perché la nazionale di calcio di un Paese, prossimo al fallimento della sua finanza pubblica, si dimostrerebbe capace di rovesciare le gerarchie che il capitalismo - a livello mondiale - ha costruito, distinguendo molto seccamente Paesi ricchi ed avanzati da altri, invece, sottosviluppati e non autosufficienti. 
Inoltre, sono due culture, quella argentina e quella tedesca, molto diverse fra loro: certo, notevole è la distanza fra la nazione, dove sono nate le nozioni filosofiche di criticismo, idealismo, nichilismo, e quella che ha dato i natali al più grande scrittore del XX secolo, Borges, il cui pensiero rappresenta l’antitesi più evidente a qualsiasi prospettiva anti-metafisica e nichilistica, dato che la sua stessa letteratura ha rappresentato il più sublime tentativo di trasferimento della filosofia europea nella forma e negli stilemi del romanzo, più tipici della produzione letteraria dell’America Latina. 
Rimanendo in ambito sportivo, non bisogna, inoltre, dimenticare che, in Argentina, i club di calcio rappresentano, a loro volta, realtà nettamente distinte fra loro, pur insistendo nella medesima città: Boca e River, ad esempio, le due squadre più rappresentative di Buenos Aires, sono espressione dei rispettivi quartieri, l’uno poverissimo e l’altro particolarmente ricco, i cui abitanti, per origini e tenore di vita, sono distanti anni luce gli uni dagli altri, essendo quelli della Boca i figli degli immigrati europei, mentre i secondi appartengono alla borghesia, piccola e media, della capitale argentina. 
In tale contesto, un derby cittadino non è solo espressione di una mera rivalità sportiva, ma diventa civile valvola di sfogo per contrapposizioni molto forti, tanto più in un milieu sociale - come quello argentino - dove le differenze fra classi sono ampie e, spesso, difficilmente colmabili. 
Parimenti, in scala, si può forse affermare che la rivalità argentino-tedesca nasconda significazioni sociologiche analoghe, visto che, domenica sera, non solo si sfideranno due squadre nazionali, ma verranno a confliggere – si auspica, civilmente e sportivamente – due filosofie di vita, che non potranno avere elementi in comune, almeno fino a quando le differenze fra il Nord ed il Sud del mondo saranno così pronunciate ed evidenti. 
A chi rappresenta una parte terza fra Argentini e Tedeschi non tocca che simpatizzare per gli uni o per gli altri, ben sapendo che la scelta non solo sarà motivata da simpatie meramente calcistiche, ma affonderà la sua ragion d’essere in valori ben più profondi dell’animo umano: scegliendo di tifare per i primi o per i secondi, si tiferà per o contro il pauperismo, per o contro l’idea di una società mondiale più equa o solidale, per o contro la prospettiva di un mondo, ancora, eurocentrico ovvero compiutamente mondializzato, come esso avrebbe dovuto essere, d’altronde, sin dalle scoperte di Colombo. 
Io, la mia scelta di campo, fra gli eredi di Piazzolla e quelli di Beethoven e Schiller, già l’ho fatta e voi? 


Rosario Pesce

 

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