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C’era una volta … in Sant’Andrea

… vittorie ciclistiche di Matteo

L’Amarcord che cercherò di portare su tela, non è a tinte malinconiche per momenti lontani nel tempo : ha   i colori decisi della nostalgia, e solo quelli.

L’amena frazione santandreina ha avuto sempre un ruolo di rilievo all’interno del comprensorio solofrano, per ricchezza ed estrosità di arti e mestieri, né è stata da meno per aver dato i natali ad eccellenti professionisti ( uno per tutti il medico Tonino D’Urso, plurispecializzato e, ad onor del vero, vanto dell’intera provincia). Ma soffermiamoci sugli artisti, di cui c’era abbondanza, ed ognuno di essi aveva una spiccata genialità, tanto che pensavi di trovarti in uno di quei borghi rinascimentali di cui avevi letto sui libri di storia.

 Era il tempo, gli anni sessanta, in cui il paese era infervorato dalle vittorie ciclistiche di Matteo, che aveva fatto della corsa in bicicletta una vera arte: non correva, cioè, solo con la forza del suo fisico ben strutturato, ma usava la tecnica del cervello per battere gli avversari. Oggi si direbbe: fuoriclasse. Quando si udivano gli spari alla via nuova, era il segnale che tutti aspettavano con trepidazione ed allora” l’artigiano con l’opra in man, cantando,  si faceva sull’uscio” per aspettare il corteo dei sostenitori che percorrevano le vie del borgo e frotte di ragazzi  letteralmente urlavano il nome del nostro campione. Comparivano qua e là, in quei giorni di suggestiva effervescenza, anche i fornaciari che avevano lasciato in mano alle pur brave donne il prosieguo di un lavoro tanto faticoso, quanto nobile . Per parlare dei capolavori che uscivano dalle loro mani, non basterebbe occupare lo spazio di un intero giornale. La loro era una vera scienza, perché dovevano fare i conti con i capricci del tempo e la perfetta  cottura nei forni. Tutto doveva avvenire secondo regole ferree, abbinate all’esperienza che si tramandava da generazioni. Un piccolo errore, una distrazione, un temporale estivo, poteva compromettere il lavoro di mesi.

Un paese, dunque, spesso in festa per le continue vittorie del nostro amato Matteo che, però, aveva un altro grosso talento, nel calcio, che gli contendeva la prima pagina: Tonino Petrone, detto Fera, in omaggio ad uno dei più bravi calciatori che abbia militato nel Solofra stratosferico. Il nostro caro amico era un gradino più in alto di tanti calciatori anche di serie superiore( chi ha visto all’opera Puskas, Di Stefano, Eusebio, ecc. , può esprimersi con sicurezza) . Ecco, la sua era vera arte applicata al gioco del calcio, ma di quello vero, del calcio eroico ed onesto, senza burattini e burattinai.

 Tonino non era un semplice pallonaro o, come va di moda, una figurina Panini, ed i tanti  che lo seguivano ( o ci giocavano al fianco) possono fare i debiti paragoni con gli osannati stramilionari che giocano in A ed oltre, fanno le bizze e vengono pure  considerati, temuti e rispettati, tanto che, qualche presunto grande allenatore, preferisce far perdere la squadra, ma non sostituirli con giocatori più validi, pena il risentimento del pupillo.   E’ di qualche ora il triste epilogo di una bandiera su cui è rimasto impresso solo il colore rosso!!!  Anche la speranza è naufragata al cospetto di “tanta genialità”. Questa era la sorte dell’Italia calcistica?

Riprendiamo.

 Aveva, il nostro, una padronanza di palla ed un tiro al fulmicotone che raramente si riscontra e, quando  uno stop al volo capita ai blasonati campioni, si parla di “magia”. Tonino Fera una partita la riempiva di magie e peccato che non sia nato in quel di Cinisello o Villar Perosa, o che non ci sia stato un De Laurentis a fiutare il suo valore totale.  Oggi ci sarebbe stato in giro qualche altro “grande” allenatore, diventato famoso perché aveva in squadra il nostro compaesano, personaggio di eccezionale estro, ma anche di educazione ed umiltà. Io non spendo  parole di troppo perché era quasi un coetaneo e perché abitavamo vicinissimi, ma il Nostro era davvero una forza della natura ed insieme al cugino centravanti avrebbero avuto un avvenire straordinario nel calcio, come riferirono certi osservatori quando sul campo di Avellino, tra i Falchi Rossi, fecero letteralmente impazzire  avversari molto quotati . 

 E una voce ancora per parlare della bravura ( oltre la genialità, oserei dire) dei fabbri, di un organista,  degli impareggiabili fuochisti e soprattutto di un  Signore sarto che ai giorni nostri avrebbe dato scacco matto a qualche rinomato maestro del cucito, e che fu il primo a far capire che era arrivato, a Solofra, il momento di utilizzare la nappa per abbigliamento, tanto che ne divenne docente apprezzato nei tanti corsi che furono istituiti  anche oltre i confini regionali. La sua bottega divenne un atelier di  moda finissima e ricercata per capi in pelle e sant’Andrea entrava di diritto nel novero dei centri più rinomati. Arrivavano alla sartoria del nostro compaesano Signor Mario,  personalità di spicco del mondo imprenditoriale e politico, professionisti di grido e anche tanta gente comune. Le veline non c’erano ancora.

Ma l’Amarcord nostalgico va  anche a pescare tra qualcuno che è stato punto di orgoglio per noi ragazzotti degli anni sessanta: Osvaldo,  diventato da grande prof.di Disegno. Era ( si difende ancora)   quel che si suol definire un artista tra gli artisti, straricco di genialità e voglia di migliorarsi . Gli davi un pezzo di legno e te lo modellava a tuo piacimento, come si fa con la plastilina, senza ricorrere ad arnesi sofisticati ( difficili da trovare), ma arrangiandosi. Oggi  vanno tanto in voga  pastori  in legno, anche da suppellettili ; Osvaldo li faceva mezzo secolo fa con materia prima non difficile da reperire. Il suo, poi, era un presepe  spettacolare, anzi  si può chiaramente dire, era : Il presepe. E lo è ancora oggi e sempre con nuovi pastori che raffigurano  personaggi che si recavano in adorazione alla grotta della natività . E tanti e tanti lo aiutavano per imparare l’arte del “fai da te”.  Arrivava la stagione del gioco della trottola, Osvaldo ne fabbricava tante da accontentare un po’ tutti i partecipanti al torneo paesano. Erano trottole solide e belle a vedersi,  trottole con un’anima. Così come altrettanto belli a vedersi ( ed utili), erano i solidi di cui era dotata ciascuna classe delle elementari di sant’Andrea e che costruiva con l’aiuto tecnico di un maestro. Ormai l’abilità del nostro Osvaldo aveva contagiato tanti ragazzi che si proponevano per dargli una mano. A quei tempi si risolveva in questo modo, con naturalezza, il problema del tempo libero,  e gran parte dei giovincelli veniva sottratto il più possibile all’attività deleteria della strada.

Spesso, molti di noi gli hanno manifestato il desiderio di rivivere  quel tempo così lontano, ma tanto vicino ai nostri cuori. Osvaldo s’è ripresentato a mostrare, in questi giorni, l’ultima sua fatica, un vero  capolavoro fatto in legno di ciliegio,  quasi ad accorgersi che aleggiava, nei suoi antichi compagni,  una nostalgia struggente.

 Caro amico, ma perché non siamo riusciti a fermare l’orologio quando un pezzo di pane raffermo, condito con un fico, ci faceva sentire i più felici del mondo? E con noi godevano di quella gioia altri ed altri ancora e tra di essi quelli che ben presto dovettero partire per terre lontane e che sicuramente  staranno sulla nostra lunghezza d’onda , perché ogni tanto ci perviene una cartolina, un saluto di speranza per una rimpatriata che tarda sempre a concretizzarsi. Si vedrà domani!!!

Caro Direttore prof. Vignola , ho avvertito il bisogno di stemperare un po’ gli animi di quanti ci leggono da vicino ed oltre “ frontiera”. Botte e risposte tra Guelfi e Ghibellini sono fumo negli occhi per tanti ( me compreso, ovviamente) speranzosi elettori che, nel corso delle legislature, sono soliti  porsi le consuete domande:

 ti scotti di più nella padella o nella brace? Sempre fuoco è !!!

 Rischi di affogarti di più al fiume o al mare? Sempre acqua è !!!

 E frattanto continuano a fare i loro….. comodi, alternandosi al potere e mai  ( si che conviene) curandosi del popolo che ingenuamente li ha voluti. Verrà, altro che verrà, la venticinquesima ora  e nudi scapperete per sottrarvi al punzecchiar di vespe e calabroni. Ma la vostra corsa sarà ostacolata da  statue di marmo che raffigureranno le persone ( tantissime, una folla) a cui avete fatto benissimo…… solo del male.

 Comunque, amico mio , ti ringrazio per aver voluto ospitare questo mio scritto che sicuramente  valicherà i confini e diventerà nuova linfa per i nostri compaesani ( e qualche familiare) che lavorano lontano dall’amata terra natia . Sì, è vero che “il ricordo, come sai, non consola”,  cantava Battisti, ma il mio intento è stato quello di stabilire un contatto, attraverso il vento dei ricordi, con quanti possano sentirsi tra di noi in “ una  corrispondenza d’amorosi sensi”.

                                                                                                                              Michele B.

 

 

 

 

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