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Tempo Ordinario: Domenica 19.ma dell'Anno C

Nota introduttiva: Non si tratta di “omelia”, ma di riflessioni che vengono dalla meditazione della Parola di Dio e che possono offrire spunti per la  preghiera personale e l’omeliaSono graditi suggerimenti per rendere più utili queste riflessioni (mons. Francesco Spaduzzi, francescospaduzzi@gmail.com)   

Tempo Ordinario: Domenica 19.ma dell'Anno C

  I - Luca 12,32-48 – 1 (a) Gesù si rivolge ai suoi discepoli, che sono un piccolo gregge (32),  destinato a crescere, ma che nei singoli deve sentirsi sempre piccolo agli occhi di Dio; Egli li invita a non temere (32) - e quindi a rallegrarsi -, perché al loro Padre del Cielo è piaciuto di donare loro, suoi figli, il suo Regno (32 perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno), quello dei Cieli, il Paradiso. E’ la cosa più importante che Dio possa prometterci e darci. Dandoci Gesù, ci ha già stato dato il Regno dei Cieli. (b) Ma il Regno va conservato anche col proprio impegno. Perciò Gesù esorta a farsi un tesoro in Cielo, dove nulla può danneggiarlo (33); lo faranno con la pratica della carità fraterna, le opere di misericordia (33 Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina), soccorrendo Cristo nei bisognosi. Se il loro tesoro è in Cielo, là si concentreranno i loro pensieri (34 Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore). La pratica dell'amore verso Dio e verso il prossimo sono indispensabili per entrare nel Regno dei Cieli. (c)  Gesù fa una raccomandazione sulla necessità della vigilanza per tenersi pronti a rendere conto a Dio alla fine del mondo e specie alla fine della vita; egli racconta la parabola dei servi, che aspettano il ritorno del padrone dalle nozze (36) senza sapere a che ora arriva (cfr. 36; 37; 38); essi devono stare in tenuta da lavoro (35); se li troverà pronti (35) ad accogliere lui e la sposa, sarà lui che assumerà la tenuta da lavoro e si metterà a servirli a mensa (37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e  passerà a servirli), cosa che non fanno mai i padroni terreni, ma Dio si, come già ha fatto Gesù, venuto a servire e non a essere servito (Mc 10,45; Gv 13,1-15). Gesù, per confermare l’invito alla vigilanza, usa l'immagine del padrone di casa, sempre attento a tener ben protetta la sua casa, contro l’arrivo dei ladri (39). Teniamoci pronti: Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo(40). Dio viene come sposo per farci partecipare la sua felicità in Paradiso; ma è necessario che ci trovi sempre in grazia di Dio e in attività al servizio di Dio e dei fratelli.

2. Pietro interroga Gesù se la parabola è per tutti o solo per gli Apostoli e successori (41); Gesù non risponde alla domanda ma quel che dice va bene per tutti, e specie a quelli che hanno responsabilità nella Chiesa. (b) Un padrone, che si allontana, indica un servo, ritenendolo affidabile per distribuire ai compagni gli incarichi di lavoro e il cibo (42). Felice è il servo che fa il suo dovere e il padrone al ritorno lo trova impegnato (43): lo premierà (44); guai, invece, a quello che, notando che il padrone prolunga l’assenza, maltratta i compagni e si sfrena (45): il padrone arriverà all'improvviso e lo punirà severamente col castigo che meritano gli infedeli (46). A ogni pastore è affidato il proprio gregge, ai genitori la famiglia, agli amministratori locali e nazionali delle persone di cui curarsi, ai dirigenti di azienda i lavoratori, a ogni uomo i propri simili, specie i più vicini; ognuno deve rendere conto a Dio per come si è comportato con Lui e con i fratelli, perché tutti siamo servi dell’unico Dio e dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri: familiari, parenti, amici, conoscenti o sconosciuti, buoni e cattivi. Se li amiamo e li aiutiamo, Dio si compiacerà di noi e ci ricompenserà; altrimenti saremo puniti. Chiediamo perdono per il male fatto e per il bene fatto male e per il bene non fatto; ripariamolo e correggiamoci per il futuro. (c) Gli ultimi versetti insegnano che tutti i servi infedeli subiranno il castigo, ma proporzionato alla gravità della colpa: maggiore è la conoscenza che hanno della volontà di Dio, più colpevoli saranno se non la compiranno e più severo sarà il castigo (47); se la si conosce di meno - anche per negligenza -, meno severo sarà il castigo (48). In effetti Dio chiede conto con maggiore severità a chi ha dato di più o a chi ha affidato di più in beni e doni naturali e soprannaturali (48 A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più). E’ un ulteriore richiamo alla nostra responsabilità, specie ai pastori della Chiesa. Dio tutto conosce e dopo aver usato tanta misericordia con noi in vita, nel giudizio ci chiederà conto preciso di tutto.

II - Sapienza 18,6-9 - La notte della liberazione degli Ebrei dall'Egitto era stata preannunciata (6) sia da Dio ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, sia da Mosè agli Ebrei (6), perché attingessero incoraggiamento, pensando a quali promesse, giurate da Dio. avevano prestato fede e fedeltà (6). Un sostegno erano anche i miracoli: il bastone di Mosè e le prime 9 piaghe, che precedettero quella notte: il popolo era in attesa sia della distruzione (7), con cui dovevano essere puniti i nemici (8), sia della loro liberazione (7), con cui sarebbero stati glorificati (8), grazie agli ultimi due miracoli: la salvezza dei primogeniti ebrei con l'attraversamento del Mar Rosso e la strage dei primogeniti egiziani con la distruzione dell'esercito del Faraone. Il vertice della loro glorificazione è la loro chiamata da parte di Dio a entrare in alleanza con Lui. Nell'attesa i figli santificati del popolo dei giusti ebrei celebravano il rito della Pasqua secondo l'ordine divino e offrivano il sacrificio dell'Agnello in onore di Dio (9); e tutto in segreto. Per ispirazione di Dio imposero a se stessi la legge della condivisione fraterna, cioè che avrebbero avuto tutto in comune: gioie e dolori, successi e pericoli; curavano anche la loro unione con Dio, cantando gli inni in suo onore (9): quella notte di liberazione e il sacrificio della Pasqua con tutti gli altri avvenimenti dell'Esodo condizionano e illuminano tutta la spiritualità della popolo ebreo, il cui caposaldo è l'Alleanza del Sinai. Noi abbiamo creduto in Dio uno e Trino e alla sua opera redentrice per mezzo del Figlio, che ci ha salvati per mezzo della sua pasqua allora e adesso della Messa e dei sacramenti, che la prolungano nei secoli. La salvezza, offerta a noi, è infinitamente superiore.

III - Ebrei 11,1-2.8-19 – L’A. parla della fede di grandi personaggi dell'AT, di quella fede che li rese graditi a Dio (2 Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio). (a) Egli racconta che Dio chiamò Abramo e lo fece per partire per una terra senza nome, dove la sua discendenza sarebbe diventata numerosissima e che avrebbe ricevuto come sua eredità: obbedì per fede (8 Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava). La promessa della discendenza riguardava anche Sara, la moglie di Abramo. Entrambi continuarono a credere, nonostante ormai fuori dell'età generativa (11 sebbene fuori dell’età), e così ricevettero la possibilità di diventare padre e madre (11 Per fede, anche Sara… ricevette la possibilità di diventare madre): ritennero di avere convincenti prove per fidarsi di Dio (11 perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso). Così da un uomo e da una donna, ormai morti quanto alla capacità generativa, venne la discendenza numerosa promessa (12 Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa …). In seguito Dio mise ancora una volta alla prova la fede di Abramo, chiedendogli di sacrificare il figlio Isacco (17 Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio), figlio promesso e dato con notevole ritardo, e attraverso il quale doveva venire la discendenza (18 del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza). Egli si fidò di Dio e stette lì per lì per ucciderlo, perché era ben convinto che Dio è onnipotente e poteva risuscitargli il figlio (19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti). Lo riebbe come segno prefigurativo delle realtà più sublimi come la morte e resurrezione di Gesù e della nostra risurrezione finale (19 per questo lo riebbe anche come simbolo). Ammiriamo questa grandissima fede di Abramo e Sara, per cui credono di poter avere il figlio, nonostante i rispettivi 100 e 90 anni, e ancora la fede di Abramo, che è disposto a sacrificare il figlio e la stessa possibilità della realizzazione della promessa di Dio. Tale fede chiediamo per noi. (b) Altra prova di grandissima fede, Abramo l’aveva data andando in Palestina, dove lui e i suoi immediati discendenti, Isacco e Giacobbe, avrebbero abitato come stranieri (9 Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa) e che Dio avrebbe dato in possesso ai discendenti solo 400 anni dopo: i tre patriarchi moriranno con la fede nelle promesse di Dio ma senza vederle realizzate (13 Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi); le contemplano da lontano e perciò si dichiareranno stranieri e pellegrini in Palestina (13 ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra); così mostrarono che cercavano una patria (14 Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria), che non era quella della Mesopotamia, dove erano era facile tornare (15), ma la patria migliore in assoluto, quella celeste (16 ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste), che è la città dalle fondamenta solidissime, perché l'ha costruita Dio stesso (10 Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso) e che Dio ha preparato per loro (16 Ha preparato infatti per loro una città). Certamente Dio gradisce la loro fede e si fa chiamare loro Dio (16). Ammiriamo e imitiamo la fede di uomini e donne, che per secoli hanno atteso la realizzazione delle promesse da Dio e sono rimasti fedeli a Lui, sostenuti dalla sua grazia. (c) Avere fede in Dio significa credere Dio degno di affidarci a lui: che gli dice la verità e mantiene le sue promesse (11), che Egli è onnipotente (19); talvolta solo alla lontana Dio realizza le promesse temporali; ma sappiamo che tutto avverrà, anche quello che riguarda l'eternità; perciò la fede è il fondamento della speranza e la prova delle realtà che non vediamo al presente (1 La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede), ma vedremo. Chiediamo il dono della fede e speranza e carità, come fa la Chiesa con frequenza.

EUCARESTIA. È il banchetto di Cristo, che si fa in questo mondo ma è anche anticipo e caparra di quello eterno con la Trinità, che ci renderà partecipi della salvezza eterna: saremo con la Vergine Maria e S. Giuseppe, con gli Angeli e Santi del Cielo, ai quali ci raccomandiamo perché ci sostengano nel cammino verso la vera patria, quella celeste  

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